Mia figlia ha quasi quattordici anni, fa la terza media, ed è nel pieno della pre-adolescenza.
Fra le cose che più mi sconcertano, e con le quali faccio più fatica a confrontarmi, ci sono le dinamiche fra ragazzine, che peraltro ci affliggono da quando era alle elementari. Quindi forse la pre-adolescenza c'entra il giusto, anche se con il crescere le relazioni diventano più complesse, nel bene e nel male.
Queste problematiche c'erano
sicuramente anche ai miei tempi, ma me le ricordo solo in parte, forse
ho rimosso. Adesso, da mamma che osserva e non può intervenire più di
tanto per proteggere/aiutare/consigliare la propria ragazza è tosta.
Eppure so che quello che possiamo fare è solo
ascoltare con pazienza, aiutandoli a tirare fuori eventuali rospi e
sofferenze, e sperando che abbiano una sufficiente autostima e coraggio
per affrontare quello che le aspetta.
Perché le relazioni nel gruppo delle pari sono spesso veramente crudeli, e ripetono degli schemi pessimi.
I
malefici gruppetti. Che ci sono sempre. Se sei dentro, devi
sottostare a regole ferree, mentre se sei fuori...Mannaggia quanto si
soffre, soprattutto a quell'età, a starne fuori!
Ma anche starci dentro è piuttosto impegnativo, perché ci sono ruoli, mansioni, compiti da rispettare. Un po' kafkianamente, se vogliamo.
Quasi sempre in un gruppo c'è una principessa, una capa, quella che da
il là a tutto. È lei che decide se sei dentro o sei fuori. È lei che
decide come ci si deve vestire (beh... non esageriamo, quello lo
decidono le multinazionali della moda...), se le tue scarpe sono fighissime o
orrende, se -peggio ancora!- lo è il tuo taglio di capelli. È lei
che decide chi viene invitata alle feste e ai ritrovi del gruppo, e
quali sono i simboli, le parole d'ordine, la musica da ascoltare. È lei
che lancia i mantra, i tormentoni. Nell'era dei social, è lei che tutte omaggiano su Instagram, su WhatsApp, su Facebook.
Non dev'essere semplice fare la
principessa. Devi imporre la tua volontà, essere autorevole (sull'autorevolezza, un post a breve). Avere
sempre qualcosa di nuovo da dire. Tendenzialmente devi essere cattiva,
perché una principessa esiste nella misura in cui esclude qualcuno dal
gruppo. Quello è il suo potere massimo, che deve avere il coraggio di
esercitare, altrimenti il gruppo non esisterebbe. I gruppi accoglienti sono un'eccezione rarissima, esistono quasi esclusivamente gruppi escludenti.
E poi, come in
Eva contro Eva,
c'è sempre qualcuna che ambisce a prendere il tuo posto.
Solitamente è
la migliore amica della principessa, il luogotenente più fidato. Quella
che esegue gli ordini senza fiatare. Anche i più sgradevoli, come fare
fuori (metaforicamente, si intende) quelle colpevoli di
insubordinazione. O anche solo di aver alzato un po' la testa. O semplicemente quella che deve essere sostituita.
Tutte adulano la principessa, ma in fondo
tutte la odiano, perché vorrebbero prendere il suo posto e non
sopportano dover sottostare ai suoi voleri. In primis il luogotenente,
che invece tutte odiano in modo più esplicito, perché non c'è bisogno di
adularla, ed è solo e semplicemente temuta.
Poi ci sono le
gregarie, la massa del gruppo, le
yes-girls. Che devono solo adeguarsi, ma almeno non hanno troppe
responsabilità, vivono di luce riflessa. Essere gregarie non dà troppe
soddisfazioni e mantiene in uno stato di tensione: non si sa mai chi sarà la prossima ad essere esclusa, da un momento all'altro potresti essere tu.
Infine
ci sono quelle che sono fuori. Essere fuori è brutto, perché nella maggior parte dei casi chi è fuori vive il
perenne e perennemente insoddisfatto desiderio di essere ammessa nel cenacolo. Spesso ne è stata
espulsa, quindi la ferita brucia moltissimo.
Quasi
tutte passano attraverso questa condizione, una volta ogni tanto. È
doloroso, ma formativo, quasi un rito iniziatico.
È l'essere fuori che fa loro scoprire che ce la possono fare anche con le loro gambe, che sono
grandi abbastanza per non dipendere dal gruppo.
Il gruppo è come il bozzolo delle farfalle, alla fine se ne deve uscire per diventare adulte.
Ci
sono anche delle ragazzine outsider. Nel campionario che mi passa daventi nelle aule scolastiche ne vedo qualcuna. Sono quelle
fuori dal coro, quelle che sono come sono e non
come gli altri vogliono che loro siano, come diceva Bob Marley. Non è per niente facile essere delle outsider ma è sicuramente la condizione che sul lungo periodo dà la maggior sicurezza di sé: navigano nel mare aperto delle relazioni fra adolescenti con coraggio e facendosi rispettare, spesso sono sole, ma quasi sempre da una posizione di forza, perché tutte ne percepiscono l'autonomia e il coraggio.
Cosa fare concretamente per aiutare le ragazze che si affacciano al mondo?
Non essere interventiste, non parlare male delle amiche, soprattutto non essere giudicanti.
Nei confronti loro, delle amiche, di tutte.
È della loro vita che si parla, ed è questa la prima volta che se la devono giocare davvero in prima persona. Bisogna lasciarle vivere la loro vita, per quanto doloroso possa essere per noi.
Però possiamo sostenerle. Far sentire la nostra vicinanza, far loro capire che se anche se la devono giocare da sole è una commedia che anche noi abbiamo recitato ai nostri tempi, e dalle quali siamo uscite, magari con parecchie ferite, ma vive. Ascoltarle tutte le volte che manifestano il bisogno di parlarci, ma senza imporre loro la nostra presenza. Vigilare perché alle volte queste dinamiche degenerano a tal punto che un intervento adulto diventa necessario.
Anch'io a dire il vero non ho bene le idee chiare di quello che posso fare per aiutare mia figlia.
Essendo un'età molto fluida, spesso passano da
un ruolo un altro sostanzialmente in virtù dell'essere cresciute.
E se Dio vuole queste dinamiche finiscono, per la maggior parte dei casi, con l'adolescenza.
Aspettare che il bruco diventi farfalla è l'unica vera cosa da fare.
Con pazienza ed amore.
Mordendosi le labbra, talvolta.
Facendo sentire che ci siamo, sempre, ma senza farlo pesare.
Se proprio non ce la fate a stare zitte, e sopportare quello che vedete scorrere davanti ai vostri occhi, trovatevi un'attività rilassante. Panificare è un'attività molto efficace, in tal senso. E se vostra figlia è celiaca, è un'attività che garantirà a entrambe un pane di ottima qualità.
Non avete idea di quanto pane stia producendo in questi mesi...
Questo pancarré ad esempio è frutto di innumerevoli sperimentazioni. È tanto che l'avevo adocchiato sul blog di
Anice & Cannella, e mi immaginavo che la presenza dello yogurt avrebbe aiutato l'impasto senza glutine, come accade quasi sempre per gli ingredienti acidi, che sono a mio avviso una mano santa. Però questo non ne voleva proprio sapere di venire come volevo io.
Provando e riprovando, che era il motto dell'Accademia del Cimento ed è il mio motto di panificatrice sglutinata, alla fine venne. Complice il giusto quantitativo di liquidi, la scelta della farina, e anche quella dello stampo. E complice anche la mia testa dura.
Ottimo per la colazione, ottimo per fare sandwich, perfetto per il pain perdu dovesse mai avanzare.
Pancarrè allo yogurt
Ingredienti
(per uno stampo 25 X 11 cm)
Per il lievitino
- 100 g di latte tiepido
- 80 gr di farina per dolci lievitati
Dallagiovanna
- 1 cucchiaino di miele
- 8 g di lievito di birra fresco
Per l'impasto finale
- 320 g di farina per dolci lievitati
Dallagiovanna
- 30 g di burro ammorbidito
- 200 g di yogurt
- 100 g di acqua tipieda
- 10 gr di zucchero
- 10 g di glucosio
- 8 gr di sale
Procedimento
Ore 8:00
In una ciotola preparate un lievitino
con gli ingredienti indicati e fatelo lievitare per circa 1 ora e
mezza o fino al raddoppio. (In estate 1 ora, o poco più, è
sufficiente)
Ore 9:30
Quando il lievitino ha quasi raggiunto
il doppio del volume, mescolate lo yogurt con l'acqua calda in modo
da ottenere un liquido tiepido, mettete nell'impastatrice la farina
setacciata, il miscuglio di acqua e yogurt, lo zucchero e il
glucosio. Lavorate con la frusta a foglia a media velocità, quindi
unite il lievitino un cucchiaio alla volta, con l'impastatrice sempre
in funzione. Per ultimo amalgamate il burro ammorbidito a pezzetti e
il sale, in due volte. Dovrete ottenere un impasto abbastanza
appiccicoso.
Ore 10:00
Trasferite l'impasto in una ciotola
unta d'olio di semi, e fatelo lievitare fino al raddoppio (ci
vorranno tre ore) nel forno con la sola lucina accesa.
Ore 13:00
Rovesciare l'impasto sulla spianatoia
spolverata di farina di riso e mais, sgonfiatelo e date un paio di
pieghe, e fatelo riposare venti minuti.
Ore 13:30
Formate ora un cordone lungo e piegatelo su se stesso, arrotolandolo a treccione. Posizionate il treccione così
ottenute in uno stampo da plumcake da 25 cm, imburrato e infarinato
con farina di riso.
Lasciare lievitare circa 1 ora,
quindi pennellate con un poco di latte.
Ore 14:30
Infornate in forno caldo a 200° sul
ripiano più basso per i primi 20 minuti, coprite poi con carta forno
la superficie che si sarà già dorata e proseguite la cottura a
180/190° per altri 20 minuti.
Sfornate il pancarrè lasciatelo
riposare dieci minuti voltato su un fianco quindi sformatelo e fatelo
raffreddare sempre rivoltato su un fianco e scoperto: risulterà
molto morbido.
Giratelo delicatamente un paio di volte mentre
raffredda, in modo da farlo asciugare uniformemente.
Quando sarà a temperatura ambiente
mettetelo in un sacchetto di plastica.
Rimane abbastanza soffice anche i giorni successivi data la
grande morbidezza ma per la stessa ragione è a rischio muffa,
per cui se non pensate di consumarlo entro due o tre giorni, meglio
tagliarlo a fette e surgelarle. Ottimo per la colazione e per fare
sandwich.
La ricetta è una delle tante ricette che potrete trovare sul mio nuovo libro
Il pane gluten free.
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Pubblicato da Giunti Editore |